lunedì 21 giugno 2010

Chiesa di San Lazzaro

1939
Nel progetto Ettore Rossi prevede l'allineamento del fabbricato principale, il monoblocco, all'asse eliotermico, deviazione di 18° dall'asse N-S al fine di ottimizzare l'energia solare.
Nella realta' l'asse del Policlinico e' ben piu' deviato ed allineato con uno dei pochi edifici all'epoca esistenti.

La chiesa di San Lazzaro.

Perche'?
Provo a rispondere con una favola metropolitana: Ettore Rossi vede la chiesa, scopre le sue origini e l'ordine cavalleresco che la gestiva fino al XIII secolo, entra in chiesa, rimane sorpreso dagli "originali" affreschi della chiesa, da parte sua si sente emotivamente esoterico; avverte una presenza immanente, medita e decide di allineare il Policlinico all'...Asse Templare ... Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.

In realta', molto piu' semplicemente e razionalmente, nella fase esecutiva, probabilmente si riscontrarono difficolta' tecniche od amministrative che lo costrinsero a deviare l'asse del fabbricato.

Ma l’ospedale non poteva che nascere qui, a due passi dall’antico ospizio “De San Lazare” oggi chiesa di San Lazzaro.


Il silenzio c’era ancora mille anni dopo; la localita’ aveva gia’ un nome, si chiamava San Lazzaro allo stesso modo che tutte le citta’ hanno lungo la via Emilia, Reggio Emilia, Parma, Bologna, ne ebbero e ne hanno una a est dell'abitato con quel nome, San Lazzaro; a lui erano dedicati ospizi e ospedali per bisognosi, per lebbrosi, per coloro che venivano dall'Oriente e dovevano assoggettarsi a una quarantena prima di entrare in città.

Era il Lazzaro, nemmeno santo della parabola del ricco Epulone; santo lo fece il popolo che a quei tempi dettava legge, almeno in queste cose, e i pittori che erano bravi, ma non quel che si dice dotti, aumentarono la confusione, dipingendo sulle pareti delle chiese l'immagine di San Lazzaro di Betania, «colui che resuscitò».

E' il caso di questa chiesetta che non era altro che la cappella dell'Ospedale dei Lebbrosi.

Sorse nel milleduecento e trecento anni dopo l'architetto Pietro Barabani di Carpi la restaurò o, per dir meglio, la rifece.

Giusto in quegli anni, Adamo e Agostino Setti, pittori modenesi, raccontarono in quattordici affreschi la vita di San Lazzaro di Betania, amico di Gesù.

« Maestro Addam de Maestro Cechin de Setto depintore e Maestro Augustino suo fratello den havere lire nonantacinque de pizoli quando haverane depinta la giexia de San Lazare ».

Chi avesse la pazienza di sfogliare il registro dei conti del l'ospedale, passerà di sorpresa in sorpresa. Novantacinque “piccole” sembrano poche per affreschi così belli, ma ascoltate il seguito.

Quando i fratelli Setti ebbero terminate le “istorie de San Lazare” i frati vollero il parere dei tecnici, come si dice oggi, e nominarono una commissione; scelsero quattro artisti di buon nome, lo Scaccieri, il Montagnani, il Fontana e Gherardo delle Catene: un collaudo in tutte le regole.

I quattro vennero, videro “le cose diligentemente” e infine “referine valere il denare ge aveva datto et più et essere ben serviti”

Così' la chiesa fu consacrata e Adamo Setti aveva dipinto su quarantasette fogli di carta quarantasette San Lazzari per adornare la chiesa - costarono venti soldi - e dopo la messa grande si fece un pranzo e Monsignore era a capotavola e l'allegoria era grande.

La sera i quattro pittori se ne tornarono, a piedi, si capisce, a Modena.

Tenevano in mano il loro compenso, un paio di capponi a testa. E il diligente frate non si dimenticò di annotare il loro valore: erano costati due soldi e mezzo l'uno, una lira in tutto.

Capito?

Se le “istorie di San Lazare” costarono novantasei lire, oggi se ne sono spesi molto di più per restaurarle, e non sappiamo quanto, ma è certo che restaurate dovevano essere perchè in questi ultimi quattrocento anni i bei colori se ne erano andati ed erano lì sbiaditi e per gran tratti cancellati e perchè i quattordici quadri sono di gran valore.

Avevano ragione i quattro “depintori“: il lavoro valeva il compenso “et più”.

Ancora nel milleseicento questo era il luogo della solitudine e del silenzio. Soltanto una volta l'anno, la domenica di Passione, tutte le carrozze della corte e della nobiltà modenese, e in testa c'era quella del Duca, arrivavano qui in corteo, ma per gli altri trecentosessantaquattro giorni soltanto le rane vi tenevano i loro concerti.

Ancora nel settecento. Poi nacquero le prime case - l'ospizio era abbandonato da un pezzo - le prime osterie, a fare concorrenza a quella, antica, della Campana, le strade, tutte fiancheggiate da canali ebbero un nome pure loro e quasi sempre lo presero dai corsi d'acqua, così come ancora oggi lo conservano - Minutara. Pelusia, Fossa Monda - il quartiere era nato.

La Via Emilia sembrava il letto di un fiume abbandonato. I vecchi ricordano ancora la polvere, i mucchi di ghiaia, i sentieri che serpeggiavano sul margine della strada, le prime gare automobilistiche. la Alfa sei cilindri, Enzo Ferrari.

Il silenzio, la solitudine appartenevano ormai al passato, una nuova epoca era incominciata.

Ed il nuovo ospedale era sorto laddove doveva sorgere.




1963 - l'anno d'oro del Modena FC


1963
Non poteva mancare un riferimento sportivo calcistico da tifoso del Modena.
Il 15 gennaio 1963 veniva reso agibile il primo lotto di piani del Policlinico.
Il 20 gennaio 1963 il Modena Fc giocava in serie A e vinceva in casa con la Fiorentina per 3 a 0 con goal di :
8' Malatrasi aut. (M),
16' Conti (M),
69' Pagliari (M)
Altri tempi, erano anni di boom economico (e sportivo), ecco la foto della formazione di quel giorno.
Ma in quella primavera vi fu anche il primo giorno veramente maledetto del football italiano, il 28 aprile 1963.
A Napoli successe il finimondo: dopo la sconfitta con il Modena che provocava la retrocessione dei partenopei, il San Paolo venne messo a ferro e fuoco. Terreno devastato, porte divelte, trentadue arresti e una squalifica di otto mesi.

Ritrovamenti archeologici

1749
Necropoli. Metà I secolo d.C.
Agosto 1749.

Intervento in un terreno dei Padri Teatini a S. Lazzaro
(Area Policlinico)Fonti storiche ricordano il rinvenimento di una stele funeraria con iscrizione, inquadrabile nell’ambito della necropoli orientale di Mutina. Attualmente la stele è conservata al Museo Lapidario Estense.
L’anonimo autore della copia settecentesca della silloge epigrafica modenese di Giovanni Maria Barbieri ricorda il rinvenimento di una stele funeraria con iscrizione "in agro prope S. Lazzarum in fundo P. P. Theatinorum".
1989
Necropoli e strada. Età romana e tardoantica - Scavi eseguiti in occasione di un intervento edilizio - Area Policlinico (intervento Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)
Si rinvennero, allineati ai margini di un canale, a m 3-3,50 di profondità, blocchi di pietra calcarea e di marmo, parti frammentarie di sepolcri di età romana, tra cui un monumento a edicola, databili tra la fine del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C. I materiali, che non si trovavano nella loro collocazione originaria, erano stati presumibilmente recuperati in epoca tardoantica dalla vicina necropoli orientale della città romana e riutilizzati per lavori di risistemazione della via Emilia, forse, come nel caso del rinvenimento 358 di Via Bonacini, per realizzare una massicciata laterale. Nello stesso intervento, circa ad un centinaio di metri a nord della Via Emilia, fu trovato in sito un ollario di pietra databile alla prima età imperiale e riferibile all'area sepolcrale che si sviluppava ad est della città romana. I materiali sono conservati presso il Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena.
Cosa altro c'e' sotto l'area del Policlinico, sita fra la Via Appennica Romana e la Via Aemilia?

Durante gli scavi una sorpresa

1952
Scavi costruzione Policlinico
Necropoli. II secolo d.C.

Durante gli scavi vennero individuati a metri 4,50 di profondità materiali edilizi, reperti ceramici e tombe del tipo alla cappuccina. La presenza di una moneta emessa dall’imperatore Marco Aurelio a nome della moglie Lucilla rappresenta l’unico elemento di datazione (161-180 d.C.). Il rinvenimento si colloca nell’area della vasta necropoli orientale di Mutina.
I materiali sono conservati al Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.
La tomba cosiddetta "cappuccina" è un tipo di sepoltura presente già in età imperiale ed è ampiamente attestata in epoca tardoantica. Era costruita accostando a doppio spiovente una o due coppie di tegole o più raramente mattoni sesquipedali, ottenendo così una struttura a sezione triangolare. A volte nel vertice del triangolo erano sistemati coppi di chiusura mentre le testate laterali potevano essere chiuse da altre tegole. Il fondo della tomba, realizzato anch'esso in mattoni, tegole rovesciate o in grossi frammenti laterizi, aveva pianta rettangolare o trapezoidale. Talvolta vi era appoggiato una pietra o un laterizio che fungevano da cuscino per il defunto. Generalmente la tomba era riservata ad un'unica deposizione.