venerdì 27 aprile 2012

Genesi edilizia del Monoblocco (1/4)

1) Gli ospedali medievali
All’inizio del Medioevo, presso i Conventi per opera delle Congregazioni religiose venivano destinati, per ospitare i pellegrini malati, dei locali, che più tardi vennero adibiti anche a curare gli ammalati poveri del luogo; da ciò, il nome di “ospitali” anche agli edifici che in seguito sorsero a tale scopo; edifici che riportavano nella loro struttura l’impronta dei conventi dai quali derivavano.
In Italia, nella florida epoca dei Comuni, il numero e la grandiosità degli Ospedali andò man mano aumentando, sia per opera dei Pontefici, sia per opera dei duchi e arciduchi delle diverse regioni del nostro paese, i quali in quell’epoca andavano a gara per costruire i più grandi nosocomi, che sono ancor oggi monumenti superbi.
Annoveriamo fra i più importanti: l’Ospedale Maggiore di Milano, il Pammatone di Genova, il Bonifazio ed il S. Maria Nuova di Firenze, gli Incurabili di Napoli, e primo fra tutti, il S. Spirito di Roma costruito per opera di Papa Onorio III e che fu per secoli esempio del genere anche all’estero.
Questi grandiosi e maestosi edifici, dalle facciate e dai cortili monumentali, erano provvisti di grandissime infermerie disposte a crociera con al centro l’altare, con le altre sale talvolta anche di perimetro, richiudenti due o quattro cortili.
Le infermerie erano alte 9 o 10 metri, rischiarate da poche finestre poste sotto al soffitto e perciò male illuminate e peggio ventilate, capaci di 40 o 50 letti ciascuna e prive o quasi di locali annessi di servizio.
Tutti i servizi dai più insalubri ai più ingombranti, ai più nauseanti, si compivano nelle sale.
I malati venivano collocati, senza distinzione di forme, confusamente su enormi letti, ciascuno destinato ad accogliere da 2 a 4 infermi, alcuni riparati con tende, altri no, altri ancora collocati in non profumate alcove.
Nella stessa infermeria dove poco prima si era cambiata la putrida paglia dei sacconi di degenza, si procedeva sui letti ad atti operativi; sullo stesso letto talvolta il morto o il moribondo giaceva assieme al convalescente, spesso il malato comune si trovava assieme all’infettivo e così via, non conoscendosi allora l’eziologia dei morbi.
I medici erano prevalentemente degli oroscopi o degli astrologi, i quali consultavano le stelle o la luna prima di somministrare i farmaci.
La medicina monastica vi aveva il sopravvento, per cui prima, giustamente, si curava l’anima, magari con troppo frequenti processioni nelle stesse infermerie, poi malamente il corpo.
Il personale di assistenza attendeva indifferentemente a tutti i servizi, compreso quello di lavare le biancherie infette o no nel vicino corso d’acqua, poiché a tale scopo si collocavano gli ospedali in prossimità di un canale o di un fiume.
Ne’ le condizioni degli ospedali per i poveri migliorarono un gran che nel 1600 e nel 1700.
Fu necessario arrivare alla seconda metà del XIX secolo per avere un graduale miglioramento dell’assistenza ospedaliera e delle condizioni igieniche degli ospedali.
Fu precisamente dopo il 1850 che l’ospedale, più da noi che all’estero, non fu più considerato in ricovero caritatevole, ma un luogo di assistenza e di cura degli infermi, per cui cambiarono le condizioni dell’edificio, dell’arredamento e dei mezzi curativi, mirando più intensamente alla guarigione sollecita del corpo dei malati ed alla tutela della salute pubblica.
In Italia, dove nel Medioevo, più che altrove, gli ospedali sorsero numerosi per opera della carità cristiana, anziché alle nuove costruzioni si ricorse agli adattamenti dei vecchi nosocomi.
Si divisero perciò le grandi sale, si abbatterono mura, si fabbricarono edifici a ridosso degli esistenti per dare alle infermerie, sempre insufficienti, locali di servizio e di disbrigo; si escogitarono ripieghi vari per supplire allo spazio mancante, per cui nel secolo passato risultarono da noi miglioramenti mai rispondenti alle esigenze ed ai bisogni dei tempi, bisogni che andarono sempre crescendo e che imposero invece all’estero di abbandonare i vecchi mastodontici edifici a crociera ed a cortili rinchiusi conservanti l’aspetto dei conventi, per costruirne di nuovi in località adatte.
Liberamente tratto dagli Atti del Sindacato Provinciale  Ingegneri di Lombardia n.1 1934 - Gli sviluppi dell’Edilizia Ospedaliera - con la collaborazione del prof. Enrico Ronzani - Direttore degli Istituti Ospedalieri di Milano.

giovedì 26 aprile 2012

Genesi edilizia del Monoblocco (2/4)

2) Gli ospedali a padiglioni separati

Già nel 1856, durante la guerra di Crimea, gli Inglesi ebbero a dimostrare che i feriti guarivano più rapidamente negli ospedali a tenda, o baraccati in aperta campagna, che non quelli che venivano inviati nei vecchi ospedali cittadini.
Ciò fu confermato nel 1870 dai tedeschi, nella guerra franco-prussiana; sorse perciò la tendenza a costruire ospedali a padiglioni.
In Inghilterra ed in Germania pertanto si incominciò ad abbandonare il tipo massiccio di ospedale, detto a corridoio, per dare la preferenza al tipo di ospedale a padiglioni separati.

Caterham Hospital 1872
A dir vero, già nel 1750, a Londra, il tipo di ospedale a edifici separati era stato fin d’allora adottato nella costruzione dell’Ospedale di S. Bartolomeo, costituito appunto da padiglioni mantenuti a una certa distanza tra loro ed intramezzati da giardini.
Ma a questa costruzione in quei tempi non fu data importanza così come non fu data importanza ad un’altra sorta nel 1821 ad Amburgo allorché si costruì l’Ospedale di San Giorgio non più a cortili chiusi ma a forma di H con corridoi rivolti all’interno.
Intanto che in Germania ed in Inghilterra si studiava il miglior tipo di costruzione ospedaliera a padiglioni separati, in Francia, in occasione della ricostruzione dell’Hotel Dieu di Parigi, distrutto da un incendio nel 1772, l’Accademia Francese delle Scienze, chiamata ad esprimere il proprio parere su tale costruzione, ebbe a “sentenziare”:
“... doversi definitivamente abbandonare nella costruzione degli ospedali le infermerie a crociera ed a cortili chiusi; doversi invece adottare edifici, per infermerie ad assi paralleli ed a più piani, riuniti tra loro ad un’estremità da una galleria”.
Con tale disposizione si aveva il beneficio che tra un edificio e l’altro restava un cortile, anziché chiuso, aperto almeno da un lato. Così infatti fu costruito il nuovo Hotel Dieu e l’Ospedale Lariboisiere di Parigi.
Ma gli scienziati tedeschi non accolsero il verdetto dell’Accademia Francese delle Scienze e, valendosi della suaccennata esperienza di guerra e di quella fatta dagli Inglesi, ottennero che in Germania si abbandonassero definitivamente i vecchi criteri di edilizia ospedaliera, non solo, ma si adottasse il tipo di ospedale a padiglioni separati, ad un solo piano, con una sola infermeria, con i relativi locali annessi di servizio e locali di soggiorno per i convalescenti.
In sostanza i tedeschi sostituirono gli ospedali provvisori baraccati di guerra, nei quali erano stati rilevati i benefici sopra ricordati, con ospedali dello stesso tipo più comodi ed in muratura.
Sorsero pertanto in Germania, verso il 1880, parecchi grandi ospedali a padiglioni separati, a un piano, con una sola infermeria, capace di circa 30 letti, con l’aggiunta di una o due camere ad un letto e coi servizi relativi.
Le infermerie risultarono così esposte per due o tre lati, ampiamente illuminate, soleggiate e ventilate, ed i padiglioni che le contenevano risultavano completamente staccati gli uni dagli altri e neppure collegati ne’ con corridoi od altro mezzo di comunicazione coperto cogli edifici dei servizi generali, ma circondati tutti da ampi giardini e larghi viali.
Tipi del genere sono i grandiosi ospedali da 1000 e 2000 letti quali il Virchow di Berlino e l’Eppendorf di Amburgo sorti su aree estesissime.
L’Eppendorf ad es. constava di 82 padiglioni infermerie e di 18 padiglioni comprendenti i servizi generali di cucina, di lavanderia, di disinfezione, di amministrazione, ecc...
Tale innovazione, al principio del XX secolo, fu dovunque grandemente vantata essendosi dimostrato coll’esercizio di questi ospedali sia l’assenza di diffusione di malattie infettive, sia le guarigioni più rapide, sia le convalescenze più brevi.
Per tali ragioni il sistema ospedale a padiglioni separati ad un solo piano ebbe applicazioni anche in Italia al principio del secolo.
Il primo Ospedale costruito del genere a padiglioni ad un piano fu l’Ospedale Umberto I di Monza.

Ma ben presto l’ospedale a padiglioni separati ad un piano, nonostante i suoi numerosi vantaggi sul vecchio tipo massiccio a corridoio, nella pratica dimostrò anche non pochi inconvenienti, sia al riguardo del costo eccessivo dell’area necessaria, sia in quelli inerenti alla spesa di costruzione e più di tutto, alla spesa di esercizio derivante dal dislocamento dei servizi.
Ad eliminare in parte tali inconvenienti anche in Germania si cominciò a costruire padiglioni anziché ad un piano a due piani, raccogliendo in essi due o quattro infermerie di circa 30 letti ciascuna, oltre a qualche camera di separazione ad un letto.
Vediamo così sorgere i grandi ospedali cittadini quali il S. Jacopo di Lipsia, il S. Sebastiano di Norimberga e parecchi altri.
Ma anche questi tipi presentavano gli inconvenienti derivanti dalle troppo lunghe vie scoperte o sotterranee di comunicazione, che ritardavano i servizi, per cui il cibo dalle cucine giungeva freddo o alterato ai malati ed il trasporto degli infermi alle sale operatorie, ai padiglioni di cure fisiche, ecc... risultava disagevole.
Pertanto, in un periodo successivo, per evitare tali inconvenienti, si collegarono i padiglioni a due piani con 4 infermerie, collocate queste alle estremità di ciascun padiglione, con vie coperte in superficie, poi con vere gallerie in muratura, talune anche di due piani.
Sorsero così l’Ospedale di Charlottenbourg, quello di Colonia di circa 1000 letti ciascuno ed altri ancora.
In Italia più tardi si costruì su questi tipi l’Ospedale della Duchessa di Galliera di Genova, il Policlinico di Roma, l’Umberto I di Ancona, il Celio di Roma, il Dermosifilopatico di Milano, ecc...
La forma di questi Padiglioni a due piani da prima era lineare, successivamente fu in alcuni luoghi, peggiorando le condizioni di illuminazione e di ventilazione specie nel corridoio centrale, modificata a forma di H o di X, collocandosi ai lati del corridoio centrale i vari locali di servizio e mantenendosi le infermerie agli estremi.
Queste trasformazioni avevano lo scopo di accentrare i servizi per economia di area e di costruzione.
 
Yoyce Green Hospital 1930
I successivi sviluppi della scienza, gli studi sui bisogni reali dei malati, i perfezionamenti nel campo dell’assistenza diretta agli infermi, l’esperienza ormai fatta sui tipi di ospedali a padiglioni separati, il bisogno di ridurre le spese anche negli ospedali, hanno costretto gli igienisti a riesaminare il problema costruttivo degli ospedali da tutti i punti di vista, al fine di ritrarre il maggiore vantaggio con la maggiore economia di costruzione e di esercizio.
Già dai sanitari era stato fatto rilevare che i padiglioni dislocati, sia pure collegati da gallerie, occupavano troppo personale e ciò nonostante si ritardavano le consegne specie del vitto e si disturbavano fin troppo i malati per i necessari trasporti.
Inoltre il tipo preferito di infermeria di circa 30 letti aveva nella pratica presentato non pochi inconvenienti.
Si lamentava che in un’infermeria di 30 letti, tra i parecchi disturbi si aveva il grave inconveniente, che, se capitava un caso di malattia infettiva troppi erano gli individui esposti al pericolo di contagio, troppi erano i malati che dovevano essere sottoposti ad osservazione per il periodo di tempo corrispondente al periodo di incubazione della forma morbosa sviluppatasi e di conseguenza troppo rilevante era il numero dei letti che doveva essere posto fuori di esercizio.
Pertanto, era stato più volte espresso il voto che venisse ridotta l’ampiezza delle infermerie.
Infatti, per tali osservazioni, pur costruendosi in genere padiglioni di soli due piani con 4 infermerie agli estremi, allo scopo di ridurre alquanto gli inconvenienti suddetti, si costruirono infermerie di circa 16-18 letti anziché infermerie di 30 letti.
Gli ingegneri, però nel fare tale riduzione, non tennero conto della maggiore spesa non solo di costruzione, in quanto si dovettero per le riduzioni dei letti aumentare i padiglioni, ma più di tutto della maggiore spesa di esercizio per il maggiore numero di personale di assistenza occorrente per le raddoppiate indipendenti infermerie, perché mantenute dislocate all’estremità’ del padiglione.

Liberamente tratto dagli Atti del Sindacato Provinciale  Ingegneri di Lombardia n.1 1934 - Gli sviluppi dell’Edilizia Ospedaliera - con la collaborazione del prof. Enrico Ronzani - Direttore degli Istituti Ospedalieri di Milano.

mercoledì 25 aprile 2012

Genesi edilizia del Monoblocco (3/4)

3) Ospedali a Padiglioni - corridoio con piccole infermerie
A rimediare in parte a questi inconvenienti qualche costruttore ideò di ridurre ancora da 16-18 a 12-14 il numero dei letti nelle infermerie all’estremo dei padiglioni, aumentando però il numero dei letti del gruppo di altri 8 o 10, distribuiti questi in 4 o 5 camere lungo il corridoio.
E’ questo il tipo dell’Ospedale Schwabing di Monaco e qualche altro dell’immediato anteguerra, che prelude all’adozione, anche per gli ospedali generali, del padiglione così detto a corridoio.
Già da qualche tempo era andato diffondendosi per la cura della tubercolosi, un nuovo tipo di padiglione a corridoio con le camere per i malati rivolte a mezzogiorno con antistante terrazzo, e tutte comunicanti posteriormente con un lungo corridoio ben illuminato e aerato, al di là del quale stavano collocati i gruppi locali di servizio.
Tra i primi del genere costruiti in Italia ricordiamo il sanatorio di Prasomaso e l’Ospedale Sanatorio in Garbagnate Milanese e più tardi molti altri.
Ma per gli ospedali in generale, specie da noi, si era restii ad adottare tale tipo di padiglione a piccole infermerie bene esposte distribuite lungo un corridoio
Verso il 1930 assistiamo anche in Italia alla tendenza di raccogliere maggiormente gli edifici e di ridurre il numero dei letti nelle infermerie, come ne fanno prova gli atti del Congresso Nazionale del 1929 e l’intervento del prof. Canalis:
“... quando l’economia di costruzione e di esercizio consigli di unire in uno o pochi edifici a più piani le infermerie ed i servizi che prima si distribuivano in edifici sparsi, seguendo il tipo misto che ha fatto buona prova in America”.
Liberamente tratto dagli Atti del Sindacato Provinciale  Ingegneri di Lombardia n.1 1934 - Gli sviluppi dell’Edilizia Ospedaliera - con la collaborazione del prof. Enrico Ronzani - Direttore degli Istituti Ospedalieri di Milano.

martedì 24 aprile 2012

Genesi edilizia del Monoblocco (4/4)

4) Ospedali verticali od a monoblocco.
L'America da qualche tempo aveva dato l'esempio di costruire, nelle grandi città, ospedali raccolti in un unico edificio, colà detti grattacieli, di 12 fino a 20 piani ciascuno, con camere per malati da 1, 2, 3 letti poste ad ambo i lati di un corridoio centrale. È stato così dato origine ad un nuovo tipo di ospedale detto a «monoblocco» o verticale e ciò senza che si siano verificati, per i moderni provvedimenti igienici applicati, gli inconvenienti in passato lamentati nei vecchi ospedali a tipo massiccio.
Los Angeles General Hospital 1930
Da questo pertanto il riesame anche da noi della situazione, dal punto di vista non solo dell’ampiezza delle infermerie, e del raggruppamento delle medesime, ma anche del numero dei piani dell'ospedale, se cioè da noi convenga mantenere il tipo di ospedale a padiglioni separati a due piani sia pure del tipo a corridoio, o se, esaminato il tipo a blocco in tutti i suoi aspetti igienico-sanitari, non fosse più economica la costruzione e l'esercizio di ospedali a blocco del tipo verticale americano.
Dal riesame di tutta la materia, sotto tutti i suoi punti di vista, si sarebbe oggi venuti nel convincimento di poter abbandonare senza alcuna preoccupazione il tipo di ospedali a padiglioni disseminati a uno o due piani, cioè il tipo cosiddetto orizzontale, e di poter invece, con maggior economia di costruzione e di esercizio, meglio raccogliere le infermerie e riunire i servizi di cura e di assistenza in uno od in pochi edifici di parecchi piani (da 5 a 8), a seconda dell'importanza dell'ospedale. Di poter in sostanza consigliare il tipo di ospedale verticale senza che dall'adozione di questo tipo si possano avere inconvenienti di un certo rilievo.
Estendere i servizi di assistenza in senso verticale, cioè in altezza piuttosto che in superficie, porta a non indifferenti economie del personale addetto ai trasporti, nonché ad un più sollecito disimpegno dei servizi stessi.
I trasporti fatti con ascensori o montacarichi, cioè con mezzi prevalentemente meccanici, sono assai più solleciti di quelli fatti con carrelli per lunghe strade scoperte o coperte. Ne consegue che collo sviluppo degli ospedali in altezza i malati potranno essere più rapidamente serviti e specialmente il vitto predisposto in cucina potrà giungere ancora caldo al malato e non alterato nel gusto.
Nel tipo di ospedale verticale i malati potranno accedere alle sale operatorie, alle sale di indagini cliniche, a quelle delle cure fisiche ecc., senza passare all'esterno per cui più sbrigativo e meno disagioso può riuscire qualsiasi movimento degli infermi.
Nel tipo prevalentemente verticale, più raccolto riesce anche il servizio sanitario e di assistenza, più facile la sorveglianza di tutti i servizi, e più facilmente si può ridurre la capacità in letti delle infermerie, senza aumentare il numero del personale quando si abbia l'avvertenza di predisporre, come e’ stato suggerito di applicare nel nuovo Ospedale Maggiore di Milano, infermerie sia pure piccole (3-6 letti), ma raccolte in gruppi di 30 letti circa coi rispettivi servizi indipendenti per i bisogni dei malati e comuni almeno a due gruppi per quelli sanitari e di assistenza. La temuta diffusione di malattie infettive, il ritardo nelle guarigioni che si avevano un tempo nei vecchi ospedali medioevali a tipo massiccio, non sono oggi più possibili nei tipi di ospedali a blocco, i quali, pur raccogliendo in un solo edificio 500 e più malati, sono costruiti con concezioni igieniche tali da eliminare qualsiasi possibilità di contagio non solo, ma così abbondantemente illuminati e ventilati da porre il paziente nelle migliori condizioni igieniche di soggiorno.
Oggi pertanto (1934 ndr), si e’ del parere, e lo sono parecchi costruttori (nonostante ancora alcuni progetti si mantengano aderenti ai vecchi criteri), che nelle moderne costruzioni ospedaliere si debba dare la preferenza, senza esagerare nel numero dei piani, al tipo di ospedale verticale costituito da uno o più blocchi (tipo cosiddetto intermedio), a seconda del numero dei letti che l'ospedale deve comprendere, in luogo del tipo a padiglioni disseminati a due piani con infermerie agli estremi. Ciò si consiglia specialmente per ragioni
economiche e cioè per economia di area, di costruzione e di esercizio, visto che i malati anche negli ospedali verticali possono trovare quasi tutti quei conforti igienici che possono dare gli ospedali del tipo orizzontale.
Naturalmente, da noi, dove l'area non ha gli elevati costi delle grandi città americane, come si è detto, il tipo verticale può essere adottato purché non si esageri in altezza (da 5 a 8 piani al massimo), e non si sacrifichino troppo le infermerie per restringerne la superficie e la cubatura, e non si costruiscano camere di degenza ai due lati del corridoio rendendo questo poco illuminato e male aerato, o gabinetti privi di finestra, specie quando non sia possibile adottare, come estesamente si applica in America, la costosa ventilazione artificiale.
Sacred Heart Hospital of Eau Claire, Wisconsin
* * *
Enunciate, attraverso gli sviluppi dell'edilizia ospedaliera, tali nuove preferenze per gli ospedali a tipo verticale, con le avvertenze sopra esposte, vediamo particolarmente se esiste la vantata economia di costruzione e di esercizio al confronto col tipo di ospedale orizzonta le a padiglioni separati.
Se tale economia veramente esiste, essa permetterebbe una maggiore estensione dell’assistenza ospedaliera, estensione richiesta oggi da tutte le popolazioni civili.
Parecchi sono gli autori che si sono occupati dell’argomento; per citare gli ultimi si ricorda Canalis, Distel, Goldwater, Sollazzo ed altri.
In sostanza più o meno si sostiene che l'ospedale verticale, così detto a blocco, offre anzitutto un’economia nelle spese di costruzione.

Esso richiede :
Un'area assai più ristretta di quella necessaria per lo sviluppo di ospedali a tipo orizzontale o a padiglioni separati, da ciò un minor costo dell’area pur tenendo calcolo di quella scoperta circostante di protezione sempre necessaria.
Certamente l’area necessaria sarà per diminuire man mano che si aumenta il numero dei piani dei quali sono costituiti i moderni ospedali.
Per quanto debbano essere più profonde, globalmente minore sarà l'estensione delle fondazioni, e minore sarà pure l’estensione dei tetti nell’ospedale di un solo o di pochi edifici; per cui, sia per le fondazioni, sia per le coperture, maggiore sarà l'economia nella costruzione degli ospedali a blocco.
Notevole sarà pure l'economia nell'ospedale a blocco delle condutture dell'acqua calda e fredde, del vapore, dell'energia elettrica e del gas per i laboratori. E così pure più economiche risulteranno le condotte delle acque di rifiuto.
Per quanto riguarda le spese d'esercizio si ritiene pur ancora che queste siano minori negli ospedali raccolti o verticali al confronto di quelle occorrenti per l'esercizio del tipo orizzontale o a padiglioni disseminati.
Si è già ricordata l'economia di personale derivante dalla sostituzione dei percorsi orizzontali con quelli eseguiti meccanicamente e dal fatto di essere i servizi generali dell'ospedale, cucina, guardaroba, farmacia, cure fisiche, ecc., uniti all'ospedale stesso o poco distanti da esso. Inoltre per essere possibile di raccogliere più facilmente, come si è dimostrato, le piccole infermerie in sezioni, viene di conseguenza l'utilizzazione più completa del personale di assistenza immediata.
Negli ospedali verticali minore sarà senza dubbio il disperdimento di calore per le ridotte condutture di. acqua calda e vapore ed anche minore sarà il disperdimento nei periodi di riscaldamento invernale in quantochè negli ospedali a padiglioni, maggiori sono le superfici disperdenti se non fosse altro da parte dei locali sottotetto e del piano terreno, e minore sarà la spesa occorrente per l'illuminazione artificiale necessaria per illuminare le vie di comunicazione, i viali le gallerie, per quanto più elevata possa essere la spesa per il consumo di energia elettrica destinata agli elevatori.
Resta pertanto confermato a nostro avviso che il tipo di ospedale verticale risulta più economico sia nella costruzione che nell’esercizio .
***
L'economia però non deve andare a detrimento dei requisiti igienici dell’ospedale per cui nello scegliere il tipo di ospedale verticale ad uno o più blocchi, a seconda, riteniamo noi, della grandezza, non bisognerà esagerare nell’accentrare troppo, come per ragioni locali e di abitudini della popolazione si fa in America.
Da noi, come si disse, il costo dell’area non è mai eccessivo, tanto più che non e’ ormai più necessario costruire gli ospedali nel centro delle città, per cui è preferibile rinunciare ai grattacieli ed accontentarci di ospedali di 5-8 piani al massimo, cioè di quelli che noi chiamiamo “tipo misto”.
È preferibile orientare le infermerie da un lato del corridoio e mantenere l'altro lato in gran parte libero, limitandosi a sistemare da questo lato i locali accessori di servizio, così da rendere il corridoio non soltanto illuminato e ventilato alle estremità come in molti ospedali americani, ma anche lateralmente.
Ciò porterà ad una maggiore estensione in superficie del fabbricato, ma offrirà in compenso una maggiore salubrità degli ambienti, ed una minore spesa di esercizio, evitando gli impianti di ventilazione artificiale mal tollerata da noi specie nelle stagioni intermedie .
Così pure nei nostri climi temperati, non si consiglia, come in Germania, di ridurre eccessivamente la superficie e la cubatura per letto.
Noi non consigliamo nel fissare la superficie delle infermerie di scendere al disotto degli 8 mq. di superficie per letto designando un’altezza dei locali non inferiore a metri 4 in media, perciò un cubo per letto di mc. 32, calcolando di ricambiare non meno di due volte per ora l’aria negli ambienti coi soli mezzi coadiuvanti la ventilazione. Infine non possiamo a meno di raccomandare di determinare con una certa larghezza, anche la superficie necessaria per la costruzione, tenendo calcolo di mantenere attorno all'ospedale una certa arca di rispetto che potrà essere trasformata a giardino e a parco, così da costituire attorno all'ospedale un polmone aeratore e posti di soggiorno all'aperto tra le piante da usarsi dai convalescenti specie nella buona stagione .
Anche con tali avvertenze, aventi lo scopo di adattare il tipo di ospedale verticale alle nostre località, ai nostri climi, ed alle nostre abitudini, certamente tale tipo riuscirà più economico senza minimamente danneggiare i malati ricoverati.
L'arch. Ettore Rossi fu uno fra i primi e piu' importanti interpreti della innovazione edilizia ospedaliera con l'introduzione di innumerevoli progetti di ospedali concepiti "a monoblocco", introducendo in Italia la moderna concezione di edilizia sanitaria americana.

Liberamente tratto dagli Atti del Sindacato Provinciale  Ingegneri di Lombardia n.1 1934 - Gli sviluppi dell’Edilizia Ospedaliera - con la collaborazione del prof. Enrico Ronzani - Direttore degli Istituti Ospedalieri di Milano.

lunedì 23 aprile 2012

Decadenza edilizia degli ospedali a monoblocco

Decadenza edilizia degli ospedali a monoblocco

Basta rileggere l'intervista all'Architetto  Renzo Piano (Corriere della sera 11.4.2012) per capire la decadenza edilizia del sistema ospedaliero a monoblocco; l'intervista si concentra sulle caratteristiche che deve avere un ospedale modello:
...
«Un mix di umanesimo e scienza, da realizzare in periferia e in mezzo al verde».
È un'idea nata undici anni fa, di questi tempi.
«Il 21 marzo 2001 ho presentato al Sant'Anna di Roma, insieme con l'allora ministro della Salute Umberto Veronesi, il progetto per un cosiddetto ospedale modello».
Quali sono le linee guida che lo contraddistinguono?
«Un ospedale non deve essere solo una macchina con determinate caratteristiche di funzionalità, ma anche un insieme di accorgimenti ambientali che aiutano il malato a stare bene psicologicamente».
In concreto?
«Per ogni letto devono essere previsti complessivamente 200 metri quadrati. Per 700 letti, insomma, ci devono essere a disposizione almeno 140 mila metri quadrati di terreno».
I motivi?
«Sono almeno due. Il primo: l'edificio ospedaliero vero e proprio deve svilupparsi orizzontalmente, in modo da limitare in altezza il suo numero di piani. L'obiettivo è realizzare una struttura che non sia mai più alta degli alberi che lo circondano. Di qui, il secondo motivo, che rende necessaria la disponibilità di grandi aree: tutt'intorno all'ospedale ci deve essere il verde».
Non è che la sua visione pecca di romanticismo?
«Nient'affatto. L'altezza limitata è utile anche per fare funzionare meglio la macchina ospedaliera. È una questione, poi, scientifico-ambientale: il verde fa diminuire almeno di due gradi la temperatura nella calura estiva, l'effetto città si annulla, si respira meglio».
Duecento metri quadrati a disposizione per letto vuol dire un rapporto tra volume edificato e superficie del terreno davvero bassa.
«La densità territoriale ideale nel caso di un ospedale è di 0,5 contro una densità territoriale di città come Milano, per avere un termine di confronto, di 5».
Ma un ospedale di solo quattro piani in altezza come dev'essere organizzato?
«Il piano terra è dedicato alla vita quotidiana, con gli ambulatori, il day hospital, il front office per chi deve prenotare le visite e ritirare gli esami, i negozi. Al meno 1 c'è la diagnostica, con Tac, risonanze, eccetera. Al meno 2, l'impiantistica. Salendo, il primo e il secondo piano sono dedicati alle degenze, l'ultimo alle sale operatorie e alle cure ad alta intensità, tra cui la rianimazione».
Tutt'intorno, gli alberi.
«Sono una condizione fondamentale per fare stare meglio i pazienti e gli operatori sanitari. Di qui l'esigenza di sfruttare le zone periferiche. Un ospedale modello è difficile farlo nel cuore della città proprio per una questione di spazi».
...



Supplementi alla rivista Monitor

Principi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la realizzazione e gestione di ospedali ad alta tecnologia e assistenza



Introduzione
L’ospedale per acuti
La gestione
La valutazione economica
La progettazione
La contestualizzazione



venerdì 2 marzo 2012

Il Concorso per l'Ospedale Clinico di Modena 1933

Il concorso per l’Ospedale Clinico di Modena fu il momento cruciale di riflessione e di scelta nell’edilizia ospedaliera nazionale fra due tipologie distinte di ospedale, quello a padiglioni e quello a monoblocco.
Il superamento definitivo del tipo a padiglioni era avvenuto in America nel primo decennio del Novecento in giganteschi complessi alti fino a trenta piani, con prospetti alleggeriti da ampie finestre, strutture in acciaio o in calcestruzzo armato, con articolazione modulare generale e pertanto prefabbricabili, oltre che dotati di nuclei di veloci ascensori.
Negli anni Venti e Trenta il nuovo tipo si diffuse in vari paesi d’Europa nella forma del monoblocco, espressione quest’ultima presa dal gergo dell’industria automobilistica per indicare edifici alti e ben utilizzati grazie alla larga diffusione dei sistemi meccanici di trasporto verticale.
Nel monoblocco si riducevano moltissimo i tempi di percorrenza; ognuno dei piani di degenza, inoltre, poté essere dotato delle strutture fondamentali per la diagnosi e la terapia, divenendo un’autosufficiente unità operativa. Poiché nei paesi europei venne subito imposta un’altezza massima di 15 piani, l’ospedale monoblocco si estese anche in orizzontale, e spesso si articolò liberamente in più blocchi.
Tale assetto ebbe particolare fortuna in Italia dove poi un decreto legislativo del 20 luglio 1939 Norme tecniche per la costruzione di Ospedali, ne fissò l’altezza massima in sette piani fuori terra.
Negli anni trenta fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il regime fascista diede notevole impulso alla costruzione di nuovi ospedali, anche attraverso concorsi di progettazione che furono altrettante occasioni di dibattito e confronto. In alcuni casi le giurie diedero la preferenza ai progetti più audaci, nei quali si andava decisamente verso monoblocchi alti nove e dieci piani.
Un momento importante fu il 4° congresso ospedaliero internazionale, tenutosi a Roma nel maggio del 1935, accompagnato da una mostra delle realizzazioni del regime. In quell’occasione fu istituito un sottocomitato italiano, presieduto da Ronzani con tra i membri l’attivissimo architetto Ettore Rossi e come vice presidente Enrico Griffini che nel frattempo con il progetto del Padiglione Granelli aveva prodotto una delle poche architetture ospedaliere ricordate anche nelle autocelebrazioni del movimento razionalista, altrimenti piuttosto distratte verso questa produzione, forse troppo legata a una ricerca strettamente funzionale e pratica.
Le già citate norme del 1939 affermavano decisamente la preferenza per le costruzioni a blocco, per ragioni di economia; limitando a sette il numero massimo di piani.
Questa scelta non era dettata solamente da pregiudizi o da arretratezza culturale: essa trovava argomentazioni non solo di carattere funzionale per i problemi d’uso di ascensori destinati a collegare troppi reparti di troppo varia natura, ma anche psicologiche, pensando alla scarsa abitudine dei pazienti italiani a ritrovarsi isolati a certe altezze.
Rimane un dato di fatto, il dibattito sorto attorno al concorso per l’Ospedale Clinico di Modena del 1933-34 vinto dall’arch. Ettore Rossi con un progetto monumentale a monoblocco articolato a piastra fu un passo fondamentale nella edilizia sanitaria.

A Modena gia’ dalla fine degli anni venti l'idea di realizzare un nuovo ospedale si faceva da tempo lentamente strada. Dopo un sopralluogo dei rappresentanti del Ministero dell'Interno e dell'Educazione Nazionale nel 1933 veniva stilata una relazione talmente sconfortante sul nosocomio esistente "assolutamente inadatto alla doppia funzione", così veniva definito, che anche le autorità centrali si convinsero della necessità di costruire un nuovo nosocomio, in quanto era impossibile qualsiasi ampliamento e miglioramento di quello esistente. La capienza della nuova costruzione venne stimata sulla base della distribuzione della popolazione nel Comune capoluogo e nella Provincia.
Inoltre si decise di tenere conto delle informazioni fornite dal medico provinciale circa lo stato sanitario e le abitudini dominanti.
Fu ritenuto adeguato un rapporto del 6% tra il numero degli abitanti di Modena città e i posti letto ed un rapporto del 3 % per la popolazione del suburbio e quella sparsa dello stesso Comune. La somma totale era di 370 letti, ai quali bisognava aggiungerne altrettanti, sulla base di un rapporto sostanzialmente analogo, per gli abitanti degli altri Comuni, considerata anche la disponibilità nei vari ospedali.
Al momento della stima il sistema ospedaliero modenese possedeva 615 letti.
Perciò il nuovo ospedale doveva contenere un minimo di circa 740 letti, elevabili a 800, data la necessità prospettata dall'Amministrazione ospedaliera e dagli altri enti interessati, di un reparto tubercolotici allo scopo di rendere disponibili i corrispondenti letti fino a quel momento occupati nell'ospedale Ramazzini, il quale doveva essere destinato, secondo le norme statutarie al ricovero dei soli infermi affetti da malattie infettive e diffusive, e di un reparto ad uso brefotrofio, la cui mancanza era vivamente sentita. Naturalmente sussistevano forti vincoli di spesa. L'Italia mussoliniana non poteva permettersi investimenti illimitati e le spese di costruzione e di impianto dovevano essere comprese entro precisi limiti.
Il bisogno di una nuova struttura ospedaliera era fortemente sentito e la Congregazione di Carita’ pensava seriamente a farsi promotrice dell’opera.
Il regime fascista aveva messo mano ad una serie di realizzazioni ospedaliere nella penisola, dimostrando un certo attivismo, all'interno del quale i modenesi si illusero di poter trovare uno spazio per un nuovo ospedale. Tenuto conto di uno stato patrimoniale non disprezzabile - che per la Congregazione ammontava a 10.421.953 Lire nel 1931 - non sembrava fuori luogo pensare ad una costruzione ex novo, che avrebbe sostituito il vecchio ospedale situato a Sant'Agostino.
In questa ottica il 5 giugno 1933 veniva emanato il bando per il nuovo ospedale clinico di Modena , che prevedeva complessivamente 150.000 lire di premi destinati alle elaborazioni più convincenti.
L'anno successivo venivano presentati 29 progetti; la Commissione chiamata a giudicarne il valore emetteva il proprio responso con una relazione il 21 marzo 1934.
Nel bando di concorso veniva specificato che il nuovo ospedale doveva avere a disposizione 800 letti, numero piuttosto elevato se comparato con quello di altri casi consimili italiani e doveva anche possedere adeguati laboratori e locali per la didattica. Altri due criteri guida per la Commissione Giudicante vennero individuati nell'ottimizzazione dei costi di gestione e nella separazione fra degenza e insegnamento. La spesa prevista inizialmente era di oltre 20 milioni.
La scelta dell'area, sulla quale edificare la nuova struttura, venne compiuta nel 1936, ma le ricerche erano state avviate quattro anni prima.
L'ospedale sarebbe stato costruito a San Lazzaro, fra le vie Emilia e Vignolese, anziché laddove previsto in bando in zona Jacopo Barozzi.
Il nuovo nosocomio, collocato ad un chilometro e mezzo dal centro della città, avrebbe sostituito la vecchia sede ducale in piazza Sant’Agostino, mentre per l'ospedale Ramazzini, vista la sua particolare destinazione, non venne decretata la chiusura.
Fu pertanto dichiarato vincitore il progetto a monoblocco di Ettore Rossi, una proposta rivoluzionaria rispetto alle forme architettoniche dominanti e che per questo fu visto con sospetto e accettato con riluttanza sia dal Consiglio superiore di sanità sia dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Il progetto a monoblocco di Ettore Rossi - Se avanzo seguitemi - 1^ premio , che indicava corpi di fabbrica alti fino a dieci piani, colpì i membri della Commissione per la sua carica innovativa; all'epoca rappresentava il meglio nel campo dell'ingegneria sanitaria.
Effettivamente l'ospedale modenese si poneva davvero all'avanguardia dal punto di vista progettuale, rifacendosi all’esempio americano' in cui si stava affermando l'ospedale verticale, "formalmente arrangiato - nota Della Torre - alla stregua degli skyscraper di allora".
Si trattava di un tipico monoblocco con andamento verticale; si componeva dell’ospedale clinico, di quello sanatoriale e degli Istituti di anatomia.
Sulla carta era considerato uno degli ospedali più moderni d'Italia.
Oltre alle Cliniche e agli Istituti medici e chirurgici, nel nuovo Policlinico avrebbero trovato spazio anche l'Istituto di Radiologia e terapia fisica, le Cliniche ostetrico-ginecologica, dermosifilopatica, oculistica e delle malattie nervose e mentali. La Clinica pediatrica venne prevista in alcuni padiglioni a parte, insieme con gli Istituti universitari di anatomia normale umana e di anatomia patologica.
Negli stessi anni Rossi vinse ben quattro concorsi relativi a progetti ospedalieri. Pur tenuto conto della sua indubbia preparazione nel settore specifico, non è però fuori luogo ipotizzare che un certo favore gli fosse stato tributato, in seguito ad una polemica da lui innescata nei riguardi del Presidente del sindacato architetti, Alberto Calza Bini, accusato da Rossi di una gestione clientelare degli incarichi e dei concorsi. Probabilmente proprio per tacitare tale polemica, che aveva assunto toni piuttosto aspri, Rossi primeggiò largamente nel settore delle costruzioni ospedaliere.
Al vincitore del progetto - contraddistinto dal motto "Se avanzo seguitemi" - venne assegnato un premio di 70.000 lire.
Il 2^ premio fu assegnato a
Patet omnibus dell'ing. Remigio Casolari, ingegnere modenese, mentre altri premi minori venivano assegnati ai numerosi progetti comunque ritenuti degni di apprezzamento'".
Il progetto proposto da Braga e Casalis si rifaceva al modello per il nuovo ospedale milanese, al quale lo stesso Casalis aveva lavorato in qualità di aiutante di Marcovigi; il concetto di base consisteva nel ridurre al minimo il numero dei fabbricati sviluppandoli in altezza e nell'accentrare i servizi.
La giuria preferì il monoblocco rispetto ai padiglioni, mostrando di gradire il tratto innovativo di quell'impostazione. Il giudizio scatenò inevitabilmente proteste a tutto campo. La rivista del Sindacato nazionale fascista architetti, "Architettura" diretta da Marcello Piacentini, intervenne sostenendo le ragioni e il valore di un partecipante al concorso, Franco Petrucci con Nosokomeion- Premio speciale, ritenuto ingiustamente penalizzato dalla giuria.
Il giovane Petrucci, non ancora trentenne e animatore del Guf romano, si era reso protagonista, insieme con Vincenzo Monaco e Claudio Longo, di un brillante ed apprezzato progetto per l'ospedale di Modena identificato dal motto Nosokomeion.
L'ospedale progettato da Petrucci aveva la forma di una T, era alto undici piani ed era corredato di tutti gli Istituti universitari, che risultavano concentrati nel gambo terminante con le aule ad emiciclo e i reparti di degenza collocati nel lato lungo.
Le camere non avevano più di quattro letti e tutte erano esposte a sud come richiedeva il bando di concorso stesso, "a realizzare un fronte esteso e di andamento curvilineo, con terrazzi continui a sottolineare anche visivamente, la modernità della concezione".
Altri premi speciali furono:
C.2  M.2 Z” Ingegneri Costanzini Umberto, Malaguti Domenico, Malaguti  Gaetano, Zaccaria Renato, Zannini Erio.
Il fatto di non aver previsto di inserire nella Commissione un rappresentante del sindacato architetti venne considerato uno sgarbo grave e per questo l'operato della Commissione finì nel mirino di molti addetti ai lavori.
Un progetto interessantissimo proposto dal binomio milanese-modenese Piero Bottoni e Mario Pucci -GR. PB. 1933 fu escluso per  contestato un vizio di forma.
Inoltre venne reputato incongruo assegnare la palma di vincitore ad un progetto a monoblocco e riconoscere a due progetti di ospedali a padiglioni, ritenuti sempre più superati, le piazze d'onore.
In effetti, l'ospedale verticale stava ormai soppiantando la tradizionale forma a padiglioni e il progetto vincente si pose all'avanguardia al tempo in ambito ospedaliero, facendo di Modena una vicenda pioniere in questo particolare segmento della storia dell’architettura .
Il progetto di Rossi dunque fu dichiarato il più meritevole; venne particolarmente apprezzato anche il Criterio improntato al massimo risparmio possibile nei costi di
gestione, secondo la prescrizione esplicitata nel bando di concorso.
Un altro aspetto contò ai fini del giudizio finale. Il progetto di Rossi prevedeva, sotto il profilo gestionale, un costo, ritenuto contenuto, di 18,89 lire per una giornata di degenza. Il suo progetto era tripartito: l'ospedale clinico era distinto da quello sanatoriale e dagli Istituti di anatomia e dal servizio mortuario.
Il concetto basilare del progetto, trattandosi di un ospedale clinico, era la creazione di tre zone perfettamente distinte ma collegate: la zona degenza, rivolta a sud, le aule per l'insegnamento e la zona filtro, costituita dalle sale diagnostiche, da quelle di ricerca, e dai locali nei quali erano situati gli uffici.
Nel fabbricato le Cliniche - quelle generali al centro dell’edificio, quelle speciali nei corpi laterali - risultavano sovrapposte in modo da creare colonne verticali per ciascun reparto, ottenendo la massima funzionalità.
La localizzazione dei servizi era particolarmente studiata; l'ospedale era ben collegato al suo interno tramite ascensori e montacarichi e disponeva di una centrale elettrogena e di una termica, che garantiva un alto risparmio sui costi di riscaldamento.