venerdì 2 marzo 2012

Il Concorso per l'Ospedale Clinico di Modena 1933

Il concorso per l’Ospedale Clinico di Modena fu il momento cruciale di riflessione e di scelta nell’edilizia ospedaliera nazionale fra due tipologie distinte di ospedale, quello a padiglioni e quello a monoblocco.
Il superamento definitivo del tipo a padiglioni era avvenuto in America nel primo decennio del Novecento in giganteschi complessi alti fino a trenta piani, con prospetti alleggeriti da ampie finestre, strutture in acciaio o in calcestruzzo armato, con articolazione modulare generale e pertanto prefabbricabili, oltre che dotati di nuclei di veloci ascensori.
Negli anni Venti e Trenta il nuovo tipo si diffuse in vari paesi d’Europa nella forma del monoblocco, espressione quest’ultima presa dal gergo dell’industria automobilistica per indicare edifici alti e ben utilizzati grazie alla larga diffusione dei sistemi meccanici di trasporto verticale.
Nel monoblocco si riducevano moltissimo i tempi di percorrenza; ognuno dei piani di degenza, inoltre, poté essere dotato delle strutture fondamentali per la diagnosi e la terapia, divenendo un’autosufficiente unità operativa. Poiché nei paesi europei venne subito imposta un’altezza massima di 15 piani, l’ospedale monoblocco si estese anche in orizzontale, e spesso si articolò liberamente in più blocchi.
Tale assetto ebbe particolare fortuna in Italia dove poi un decreto legislativo del 20 luglio 1939 Norme tecniche per la costruzione di Ospedali, ne fissò l’altezza massima in sette piani fuori terra.
Negli anni trenta fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il regime fascista diede notevole impulso alla costruzione di nuovi ospedali, anche attraverso concorsi di progettazione che furono altrettante occasioni di dibattito e confronto. In alcuni casi le giurie diedero la preferenza ai progetti più audaci, nei quali si andava decisamente verso monoblocchi alti nove e dieci piani.
Un momento importante fu il 4° congresso ospedaliero internazionale, tenutosi a Roma nel maggio del 1935, accompagnato da una mostra delle realizzazioni del regime. In quell’occasione fu istituito un sottocomitato italiano, presieduto da Ronzani con tra i membri l’attivissimo architetto Ettore Rossi e come vice presidente Enrico Griffini che nel frattempo con il progetto del Padiglione Granelli aveva prodotto una delle poche architetture ospedaliere ricordate anche nelle autocelebrazioni del movimento razionalista, altrimenti piuttosto distratte verso questa produzione, forse troppo legata a una ricerca strettamente funzionale e pratica.
Le già citate norme del 1939 affermavano decisamente la preferenza per le costruzioni a blocco, per ragioni di economia; limitando a sette il numero massimo di piani.
Questa scelta non era dettata solamente da pregiudizi o da arretratezza culturale: essa trovava argomentazioni non solo di carattere funzionale per i problemi d’uso di ascensori destinati a collegare troppi reparti di troppo varia natura, ma anche psicologiche, pensando alla scarsa abitudine dei pazienti italiani a ritrovarsi isolati a certe altezze.
Rimane un dato di fatto, il dibattito sorto attorno al concorso per l’Ospedale Clinico di Modena del 1933-34 vinto dall’arch. Ettore Rossi con un progetto monumentale a monoblocco articolato a piastra fu un passo fondamentale nella edilizia sanitaria.

A Modena gia’ dalla fine degli anni venti l'idea di realizzare un nuovo ospedale si faceva da tempo lentamente strada. Dopo un sopralluogo dei rappresentanti del Ministero dell'Interno e dell'Educazione Nazionale nel 1933 veniva stilata una relazione talmente sconfortante sul nosocomio esistente "assolutamente inadatto alla doppia funzione", così veniva definito, che anche le autorità centrali si convinsero della necessità di costruire un nuovo nosocomio, in quanto era impossibile qualsiasi ampliamento e miglioramento di quello esistente. La capienza della nuova costruzione venne stimata sulla base della distribuzione della popolazione nel Comune capoluogo e nella Provincia.
Inoltre si decise di tenere conto delle informazioni fornite dal medico provinciale circa lo stato sanitario e le abitudini dominanti.
Fu ritenuto adeguato un rapporto del 6% tra il numero degli abitanti di Modena città e i posti letto ed un rapporto del 3 % per la popolazione del suburbio e quella sparsa dello stesso Comune. La somma totale era di 370 letti, ai quali bisognava aggiungerne altrettanti, sulla base di un rapporto sostanzialmente analogo, per gli abitanti degli altri Comuni, considerata anche la disponibilità nei vari ospedali.
Al momento della stima il sistema ospedaliero modenese possedeva 615 letti.
Perciò il nuovo ospedale doveva contenere un minimo di circa 740 letti, elevabili a 800, data la necessità prospettata dall'Amministrazione ospedaliera e dagli altri enti interessati, di un reparto tubercolotici allo scopo di rendere disponibili i corrispondenti letti fino a quel momento occupati nell'ospedale Ramazzini, il quale doveva essere destinato, secondo le norme statutarie al ricovero dei soli infermi affetti da malattie infettive e diffusive, e di un reparto ad uso brefotrofio, la cui mancanza era vivamente sentita. Naturalmente sussistevano forti vincoli di spesa. L'Italia mussoliniana non poteva permettersi investimenti illimitati e le spese di costruzione e di impianto dovevano essere comprese entro precisi limiti.
Il bisogno di una nuova struttura ospedaliera era fortemente sentito e la Congregazione di Carita’ pensava seriamente a farsi promotrice dell’opera.
Il regime fascista aveva messo mano ad una serie di realizzazioni ospedaliere nella penisola, dimostrando un certo attivismo, all'interno del quale i modenesi si illusero di poter trovare uno spazio per un nuovo ospedale. Tenuto conto di uno stato patrimoniale non disprezzabile - che per la Congregazione ammontava a 10.421.953 Lire nel 1931 - non sembrava fuori luogo pensare ad una costruzione ex novo, che avrebbe sostituito il vecchio ospedale situato a Sant'Agostino.
In questa ottica il 5 giugno 1933 veniva emanato il bando per il nuovo ospedale clinico di Modena , che prevedeva complessivamente 150.000 lire di premi destinati alle elaborazioni più convincenti.
L'anno successivo venivano presentati 29 progetti; la Commissione chiamata a giudicarne il valore emetteva il proprio responso con una relazione il 21 marzo 1934.
Nel bando di concorso veniva specificato che il nuovo ospedale doveva avere a disposizione 800 letti, numero piuttosto elevato se comparato con quello di altri casi consimili italiani e doveva anche possedere adeguati laboratori e locali per la didattica. Altri due criteri guida per la Commissione Giudicante vennero individuati nell'ottimizzazione dei costi di gestione e nella separazione fra degenza e insegnamento. La spesa prevista inizialmente era di oltre 20 milioni.
La scelta dell'area, sulla quale edificare la nuova struttura, venne compiuta nel 1936, ma le ricerche erano state avviate quattro anni prima.
L'ospedale sarebbe stato costruito a San Lazzaro, fra le vie Emilia e Vignolese, anziché laddove previsto in bando in zona Jacopo Barozzi.
Il nuovo nosocomio, collocato ad un chilometro e mezzo dal centro della città, avrebbe sostituito la vecchia sede ducale in piazza Sant’Agostino, mentre per l'ospedale Ramazzini, vista la sua particolare destinazione, non venne decretata la chiusura.
Fu pertanto dichiarato vincitore il progetto a monoblocco di Ettore Rossi, una proposta rivoluzionaria rispetto alle forme architettoniche dominanti e che per questo fu visto con sospetto e accettato con riluttanza sia dal Consiglio superiore di sanità sia dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Il progetto a monoblocco di Ettore Rossi - Se avanzo seguitemi - 1^ premio , che indicava corpi di fabbrica alti fino a dieci piani, colpì i membri della Commissione per la sua carica innovativa; all'epoca rappresentava il meglio nel campo dell'ingegneria sanitaria.
Effettivamente l'ospedale modenese si poneva davvero all'avanguardia dal punto di vista progettuale, rifacendosi all’esempio americano' in cui si stava affermando l'ospedale verticale, "formalmente arrangiato - nota Della Torre - alla stregua degli skyscraper di allora".
Si trattava di un tipico monoblocco con andamento verticale; si componeva dell’ospedale clinico, di quello sanatoriale e degli Istituti di anatomia.
Sulla carta era considerato uno degli ospedali più moderni d'Italia.
Oltre alle Cliniche e agli Istituti medici e chirurgici, nel nuovo Policlinico avrebbero trovato spazio anche l'Istituto di Radiologia e terapia fisica, le Cliniche ostetrico-ginecologica, dermosifilopatica, oculistica e delle malattie nervose e mentali. La Clinica pediatrica venne prevista in alcuni padiglioni a parte, insieme con gli Istituti universitari di anatomia normale umana e di anatomia patologica.
Negli stessi anni Rossi vinse ben quattro concorsi relativi a progetti ospedalieri. Pur tenuto conto della sua indubbia preparazione nel settore specifico, non è però fuori luogo ipotizzare che un certo favore gli fosse stato tributato, in seguito ad una polemica da lui innescata nei riguardi del Presidente del sindacato architetti, Alberto Calza Bini, accusato da Rossi di una gestione clientelare degli incarichi e dei concorsi. Probabilmente proprio per tacitare tale polemica, che aveva assunto toni piuttosto aspri, Rossi primeggiò largamente nel settore delle costruzioni ospedaliere.
Al vincitore del progetto - contraddistinto dal motto "Se avanzo seguitemi" - venne assegnato un premio di 70.000 lire.
Il 2^ premio fu assegnato a
Patet omnibus dell'ing. Remigio Casolari, ingegnere modenese, mentre altri premi minori venivano assegnati ai numerosi progetti comunque ritenuti degni di apprezzamento'".
Il progetto proposto da Braga e Casalis si rifaceva al modello per il nuovo ospedale milanese, al quale lo stesso Casalis aveva lavorato in qualità di aiutante di Marcovigi; il concetto di base consisteva nel ridurre al minimo il numero dei fabbricati sviluppandoli in altezza e nell'accentrare i servizi.
La giuria preferì il monoblocco rispetto ai padiglioni, mostrando di gradire il tratto innovativo di quell'impostazione. Il giudizio scatenò inevitabilmente proteste a tutto campo. La rivista del Sindacato nazionale fascista architetti, "Architettura" diretta da Marcello Piacentini, intervenne sostenendo le ragioni e il valore di un partecipante al concorso, Franco Petrucci con Nosokomeion- Premio speciale, ritenuto ingiustamente penalizzato dalla giuria.
Il giovane Petrucci, non ancora trentenne e animatore del Guf romano, si era reso protagonista, insieme con Vincenzo Monaco e Claudio Longo, di un brillante ed apprezzato progetto per l'ospedale di Modena identificato dal motto Nosokomeion.
L'ospedale progettato da Petrucci aveva la forma di una T, era alto undici piani ed era corredato di tutti gli Istituti universitari, che risultavano concentrati nel gambo terminante con le aule ad emiciclo e i reparti di degenza collocati nel lato lungo.
Le camere non avevano più di quattro letti e tutte erano esposte a sud come richiedeva il bando di concorso stesso, "a realizzare un fronte esteso e di andamento curvilineo, con terrazzi continui a sottolineare anche visivamente, la modernità della concezione".
Altri premi speciali furono:
C.2  M.2 Z” Ingegneri Costanzini Umberto, Malaguti Domenico, Malaguti  Gaetano, Zaccaria Renato, Zannini Erio.
Il fatto di non aver previsto di inserire nella Commissione un rappresentante del sindacato architetti venne considerato uno sgarbo grave e per questo l'operato della Commissione finì nel mirino di molti addetti ai lavori.
Un progetto interessantissimo proposto dal binomio milanese-modenese Piero Bottoni e Mario Pucci -GR. PB. 1933 fu escluso per  contestato un vizio di forma.
Inoltre venne reputato incongruo assegnare la palma di vincitore ad un progetto a monoblocco e riconoscere a due progetti di ospedali a padiglioni, ritenuti sempre più superati, le piazze d'onore.
In effetti, l'ospedale verticale stava ormai soppiantando la tradizionale forma a padiglioni e il progetto vincente si pose all'avanguardia al tempo in ambito ospedaliero, facendo di Modena una vicenda pioniere in questo particolare segmento della storia dell’architettura .
Il progetto di Rossi dunque fu dichiarato il più meritevole; venne particolarmente apprezzato anche il Criterio improntato al massimo risparmio possibile nei costi di
gestione, secondo la prescrizione esplicitata nel bando di concorso.
Un altro aspetto contò ai fini del giudizio finale. Il progetto di Rossi prevedeva, sotto il profilo gestionale, un costo, ritenuto contenuto, di 18,89 lire per una giornata di degenza. Il suo progetto era tripartito: l'ospedale clinico era distinto da quello sanatoriale e dagli Istituti di anatomia e dal servizio mortuario.
Il concetto basilare del progetto, trattandosi di un ospedale clinico, era la creazione di tre zone perfettamente distinte ma collegate: la zona degenza, rivolta a sud, le aule per l'insegnamento e la zona filtro, costituita dalle sale diagnostiche, da quelle di ricerca, e dai locali nei quali erano situati gli uffici.
Nel fabbricato le Cliniche - quelle generali al centro dell’edificio, quelle speciali nei corpi laterali - risultavano sovrapposte in modo da creare colonne verticali per ciascun reparto, ottenendo la massima funzionalità.
La localizzazione dei servizi era particolarmente studiata; l'ospedale era ben collegato al suo interno tramite ascensori e montacarichi e disponeva di una centrale elettrogena e di una termica, che garantiva un alto risparmio sui costi di riscaldamento.



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